giovedì 22 novembre 2012

La mia vita in un post-it (Capitolo 3)

La mia vita in un post-it
supercazzola prematurata con scappellamento a destra come foss’antani



Capitolo 3

Estraggo una copia del mio curriculum dalla busta trasparente e la consegno al titolare della ferramenta.
Lui, un uomo sulla sessantina ma con la pelle così rugosa e increspata da dimostrarne almeno una decina in più, gli getta un'occhiata veloce con sufficienza e poi chiede: “Qua c'è scritto che hai fatto il liceo classico”.
“Sì”.
“Embè vuoi lavorà in ferramenta? Ma studia ora che puoi e sei giovane”.
“Mi piacerebbe” rispondo cercando di non sbuffare (avrò perso il conto di quante volte ho sentito questa frase), “ma non ho i soldi. La mia famiglia non è proprio ricchissima”.
“Vabbè, capisco... però non c'hai nemmeno un po' d'esperienza”.
A questa frase, invece, sbotto: “Non ho esperienza, nessuno mi fa lavorare per questo motivo e continuerò a non avere esperienza, quindi nessuno continuerà a farmi lavorare”.
“Ragazzo” comincia il vecchio con tono deciso, cercando di togliere dalla sua parlata ogni inflessione dialettale. “Vuoi che non lo sappia? Ma il mondo è così oggi. Se si ha la possibilità si studia, altrimenti sgobbi come un mulo tutto il giorno in un qualche posto e, quando torni a casa la sera, la prima cosa che vedi quando accendi la tv è la somara del momento che s'è fatta strada dando via la fregna come fosse il pane. Poi ogni tanto il governo tira fuori dal cilindro qualche nuova tassa che favorisce solo le grandi ditte ed è per questo motivo che poi le persone come me preferiscono assumere gente con esperienza e andare sul sicuro. A voi giovani dovete pensarci voi stessi”.
“Ma se chi ha la possibilità di cambiare le cose se ne lava le mani dove andremo? Scommetto che ai suoi tempi non si ragionava così”.
“Figliolo, ma cosa ne vuoi sapere dei miei tempi?”
Sbuffo. “Abbastanza da capire quando ho davanti un vecchio ancorato al passato che dovrebbe andarsene in pensione e lasciar spazio a che ne ha bisogno”.
Credo di aver centrato il punto. Con un gesto veloce l'uomo accartoccia il mio curriculum e me lo tira in faccia.
“C'hai ragione” dice con tono seccato. “Ma se le generazioni a venire sono come te allora sono fiero di lavarmene le mani”.
E' inutile discutere, mi ripeto fra me e me, ed esco dalla ferramenta senza dire una parola.
Ammetto di comprendere le sue motivazioni. Sì, lo ammetto. Ci troviamo in una società che premia chi ha le tette più grosse o le tasche più gonfie. Una società che tarpa le ali alla gente povera e per bene e che impedisce ai giovani di covare sogni per il futuro, che sia studiare o costruirsi una vita. Chi oggigiorno ha qualcosa, anche poco, può ritenersi fortunato ma immagino che debba anche tenerselo a caro, in ogni modo possibile. Effettivamente, io come mi sarei comportato al suo posto?
Le persone disperate prima o poi avranno bisogno di sfogarsi e in questo periodo, dove la disperazione è una costante di ogni persona, le soluzioni possono essere ben poco ortodosse. Sto parlando delle zingarate.
La verità è questa: non siamo solo un gruppetto di ragazzini nullafacenti. Siamo dei giovani adulti senza alcuna certezza per il futuro che per quanto si impegnino lo prenderanno sempre in culo. E' simile al film “Amici Miei”: quattro uomini adulti annoiati dall'essere adulti sentono il bisogno di partire, all'improvviso, per staccarsi dalla realtà e continuare a vivere. Noi invece necessitiamo di farci sentire, di farci notare... di ritrovare quel senso di ingenuità che ci permette di tirare avanti con un sorriso sulle labbra pensando che domani andrà meglio.

Questo pensiero mi ha ossessionato per tutta la giornata. Persino adesso, mentre riaccompagno Ilenia a casa, mi sento ancora un po' innervosito.
Ogni tanto la noto voltarsi appena verso di me, cercando di non farsi vedere. Lo fa un'altra volta, due, tre... alla quarta mi fermo e le faccio con tono stizzito: “Allora? Che vuoi?”
“Io? Nulla” risponde lei. “Tu piuttosto, che hai? Sei ancora turbato per quel ferramenta?”
Girò la testa dall'altra parte. “Credo di sì...”
“Dai, non puoi farti abbattere così da quel vecchiaccio di merda”. Mentre lo dice mi prendo con una mano il viso, mi gira verso di lei e dopo avermi baciato dice: “Dai, so io come tirarti su di morale”.
Mi prende per mano e mi strattona in un vicoletto, da lì mi conduce in una traversa e poi in un vicolo ancora più stretto. Mi poggia con la schiena contro il muro e poi si mette in ginocchio. Le sue mani cercano avidamente la chiusura lampo dei pantaloni e in un attimo mi ritrovo con le mutande calate.
“Ilenia, ma che cazzo fai? Fermati!”
Cerco di rivestirmi ma la sua bocca è più veloce. Effettivamente, non pensavo che intendesse questo per tirarmi su di morale.
“Fermati, porca puttana! Siamo in un luogo pubblico!”
Ilenia si stacca un attimo solo per dire “Tranquillo, questo posto è abbastanza isolato”, poi afferra la mia giacchetta di pelle nera e ricomincia.
Poggio dolcemente la nuca contro il muro e alzo lo sguardo. Vedo all'ultimo piano di un palazzo una vecchia che da di spalle alla finestra. Se si girasse vedrebbe tutto.
“Hai detto che questo posto è abbastanza isolato?”
Mugugna qualcosa come per annuire, senza lasciare la presa. Alla fine mi lascio andare e... oh, Gesù, è meraviglioso in questo modo!

Quella stessa sera ci ritroviamo al solito pub. Anche stavolta sono la star della serata.
“Quella... quella ti ha fatto un pompino in pubblico? Così?”
“Sì”.
Il Mona sembra non volerci credere. Credo per una volta di averlo superato.
“... ma le hai chiesto se ha delle amiche?!”
“Sì... Ha detto che qualche amica libera ce l'ha, poi magari una volta organizziamo un'uscita”.
“Wow” fa Derp. “Spero che anche le sue amiche siano così”.
“Ma alla fine la vecchia si è girata? Vi ha visti?” chiede Giova.
“E che ne so? Ero concentrato su tutt'altra cosa!”
“Però scommetto che ti ha davvero tirato su di morale”
“Ma sì, sì... per un po'”.
Il Mona mi da una pacca sulla spalla, poi guarda i nostri compagni. “Lo so io che ci vuole per tirarti davvero su!”
“Oh, lo so anche io” dice Giova. “Non so voi, ma stasera mi sento parecchio zingaro”.
Infine interviene Derp. “Idem con patate”.
Sospiro. Cosa farei senza i miei compagni?
“E va bene. Cosa facciamo stasera?”
“Mah...” comincia il Mona prima di finire la sua birra. “Credo che quel ferramenta ebreo sia un buon punto d'inizio”.
“Quel vecchio sarebbe ebreo? E che c'entra?”

Quella di stasera è grossa e forse definirla zingarata è un po' riduttivo. Un po' tanto riduttivo.
Il Mona mi passa una bomboletta di vernice spray. “Dai. Fallo”.
Mi fermo a fissare la bomboletta per qualche istante. Poi ripenso a tutto il ragionamento di oggi pomeriggio: più la situazione è disperata, altrettanto saranno le conseguenze. A volte, inoltre, capitano anche delle 'incomprensioni' e una delle due parti peggiora la situazione.
Ma io sono stufo. Sono davvero stufo. Il vecchio ha fatto traboccare il vaso.
Mi avvicino alla serranda e lascio il messaggio.

ACHTUNG!!
NEGOZIO EBREO

Il Mona se ne va quasi soddisfatto, Derp e Giova lo seguono poco dopo. Io rimango lì a fissare per qualche minuto la scritta di un verde luminoso. Rimpiango quasi subito, ogni secondo di più, di non averci disegnato piuttosto un enorme cazzo.
Di nuovo, ripenso a tutto il ragionamento di oggi pomeriggio e al fatto che a volte capitano anche delle 'incomprensioni'. Mi rendo conto solo adesso che in certi casi sono proprio queste incomprensioni alla base delle conseguenze spiacevoli. Sia che queste siano delle zingarate fatte da ragazzi bontemponi, sia che queste siano dei veri e propri atti di vandalismo o razzismo.
E come spesso accade, quando ci si accorge di aver fatto una stronzata è già troppo tardi.
“Cazzo” mi dico, e me lo ripeto. Mi infilo il cappuccio della felpa e mi allontano, ormai più turbato di quanto non fossi il pomeriggio.
Mi ero chiesto cosa avrei fatto al posto di quel vecchio ferramenta, ora invece mi domando cosa avrebbe fatto lui al posto mio...

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