La mia vita in un post-it
supercazzola prematurata con scappellamento a destra come foss’antani
supercazzola prematurata con scappellamento a destra come foss’antani
Capitolo
3
Estraggo una copia del
mio curriculum dalla busta trasparente e la consegno al titolare
della ferramenta.
Lui, un uomo sulla
sessantina ma con la pelle così rugosa e increspata da dimostrarne
almeno una decina in più, gli getta un'occhiata veloce con
sufficienza e poi chiede: “Qua c'è scritto che hai fatto il liceo
classico”.
“Sì”.
“Embè vuoi lavorà
in ferramenta? Ma studia ora che puoi e sei giovane”.
“Mi piacerebbe”
rispondo cercando di non sbuffare (avrò perso il conto di quante
volte ho sentito questa frase), “ma non ho i soldi. La mia famiglia
non è proprio ricchissima”.
“Vabbè, capisco...
però non c'hai nemmeno un po' d'esperienza”.
A questa frase, invece,
sbotto: “Non ho esperienza, nessuno mi fa lavorare per questo
motivo e continuerò a non avere esperienza, quindi nessuno
continuerà a farmi lavorare”.
“Ragazzo” comincia
il vecchio con tono deciso, cercando di togliere dalla sua parlata
ogni inflessione dialettale. “Vuoi che non lo sappia? Ma il mondo è
così oggi. Se si ha la possibilità si studia, altrimenti sgobbi
come un mulo tutto il giorno in un qualche posto e, quando torni a
casa la sera, la prima cosa che vedi quando accendi la tv è la
somara del momento che s'è fatta strada dando via la fregna come
fosse il pane. Poi ogni tanto il governo tira fuori dal cilindro
qualche nuova tassa che favorisce solo le grandi ditte ed è per
questo motivo che poi le persone come me preferiscono assumere gente
con esperienza e andare sul sicuro. A voi giovani dovete pensarci voi
stessi”.
“Ma se chi ha la
possibilità di cambiare le cose se ne lava le mani dove andremo?
Scommetto che ai suoi tempi non si ragionava così”.
“Figliolo, ma cosa ne
vuoi sapere dei miei tempi?”
Sbuffo. “Abbastanza
da capire quando ho davanti un vecchio ancorato al passato che
dovrebbe andarsene in pensione e lasciar spazio a che ne ha bisogno”.
Credo di aver centrato
il punto. Con un gesto veloce l'uomo accartoccia il mio curriculum e
me lo tira in faccia.
“C'hai ragione”
dice con tono seccato. “Ma se le generazioni a venire sono come te
allora sono fiero di lavarmene le mani”.
E' inutile discutere,
mi ripeto fra me e me, ed esco dalla ferramenta senza dire una
parola.
Ammetto di comprendere
le sue motivazioni. Sì, lo ammetto. Ci troviamo in una società che
premia chi ha le tette più grosse o le tasche più gonfie. Una
società che tarpa le ali alla gente povera e per bene e che
impedisce ai giovani di covare sogni per il futuro, che sia studiare
o costruirsi una vita. Chi oggigiorno ha qualcosa, anche poco, può
ritenersi fortunato ma immagino che debba anche tenerselo a caro, in
ogni modo possibile. Effettivamente, io come mi sarei comportato al
suo posto?
Le persone disperate
prima o poi avranno bisogno di sfogarsi e in questo periodo, dove la
disperazione è una costante di ogni persona, le soluzioni possono
essere ben poco ortodosse. Sto parlando delle zingarate.
La verità è questa:
non siamo solo un gruppetto di ragazzini nullafacenti. Siamo dei
giovani adulti senza alcuna certezza per il futuro che per quanto si
impegnino lo prenderanno sempre in culo. E' simile al film “Amici
Miei”: quattro uomini adulti annoiati dall'essere adulti sentono
il bisogno di partire, all'improvviso, per staccarsi dalla realtà e
continuare a vivere. Noi invece necessitiamo di farci sentire, di
farci notare... di ritrovare quel senso di ingenuità che ci permette
di tirare avanti con un sorriso sulle labbra pensando che domani
andrà meglio.
Questo pensiero mi ha
ossessionato per tutta la giornata. Persino adesso, mentre
riaccompagno Ilenia a casa, mi sento ancora un po' innervosito.
Ogni tanto la noto
voltarsi appena verso di me, cercando di non farsi vedere. Lo fa
un'altra volta, due, tre... alla quarta mi fermo e le faccio con tono
stizzito: “Allora? Che vuoi?”
“Io? Nulla”
risponde lei. “Tu piuttosto, che hai? Sei ancora turbato per quel
ferramenta?”
Girò la testa
dall'altra parte. “Credo di sì...”
“Dai, non puoi farti
abbattere così da quel vecchiaccio di merda”. Mentre lo dice mi
prendo con una mano il viso, mi gira verso di lei e dopo avermi
baciato dice: “Dai, so io come tirarti su di morale”.
Mi prende per mano e mi
strattona in un vicoletto, da lì mi conduce in una traversa e poi in
un vicolo ancora più stretto. Mi poggia con la schiena contro il
muro e poi si mette in ginocchio. Le sue mani cercano avidamente la
chiusura lampo dei pantaloni e in un attimo mi ritrovo con le mutande
calate.
“Ilenia, ma che cazzo
fai? Fermati!”
Cerco di rivestirmi ma
la sua bocca è più veloce. Effettivamente, non pensavo che
intendesse questo per tirarmi su di morale.
“Fermati, porca
puttana! Siamo in un luogo pubblico!”
Ilenia si stacca un
attimo solo per dire “Tranquillo, questo posto è abbastanza
isolato”, poi afferra la mia giacchetta di pelle nera e ricomincia.
Poggio dolcemente la
nuca contro il muro e alzo lo sguardo. Vedo all'ultimo piano di un
palazzo una vecchia che da di spalle alla finestra. Se si girasse
vedrebbe tutto.
“Hai detto che questo
posto è abbastanza isolato?”
Mugugna qualcosa come
per annuire, senza lasciare la presa. Alla fine mi lascio andare e...
oh, Gesù, è meraviglioso in questo modo!
Quella stessa sera ci
ritroviamo al solito pub. Anche stavolta sono la star della serata.
“Quella... quella ti
ha fatto un pompino in pubblico? Così?”
“Sì”.
Il Mona sembra non
volerci credere. Credo per una volta di averlo superato.
“... ma le hai
chiesto se ha delle amiche?!”
“Sì... Ha detto che
qualche amica libera ce l'ha, poi magari una volta organizziamo
un'uscita”.
“Wow” fa Derp.
“Spero che anche le sue amiche siano così”.
“Ma alla fine la
vecchia si è girata? Vi ha visti?” chiede Giova.
“E che ne so? Ero
concentrato su tutt'altra cosa!”
“Però scommetto che
ti ha davvero tirato su di morale”
“Ma sì, sì... per
un po'”.
Il Mona mi da una pacca
sulla spalla, poi guarda i nostri compagni. “Lo so io che ci vuole
per tirarti davvero su!”
“Oh, lo so anche io”
dice Giova. “Non so voi, ma stasera mi sento parecchio zingaro”.
Infine interviene Derp.
“Idem con patate”.
Sospiro. Cosa farei
senza i miei compagni?
“E va bene. Cosa
facciamo stasera?”
“Mah...” comincia
il Mona prima di finire la sua birra. “Credo che quel ferramenta
ebreo sia un buon punto d'inizio”.
“Quel vecchio sarebbe
ebreo? E che c'entra?”
Quella di stasera è
grossa e forse definirla zingarata è un po' riduttivo. Un po' tanto
riduttivo.
Il Mona mi passa una
bomboletta di vernice spray. “Dai. Fallo”.
Mi fermo a fissare la
bomboletta per qualche istante. Poi ripenso a tutto il ragionamento
di oggi pomeriggio: più la situazione è disperata, altrettanto
saranno le conseguenze. A volte, inoltre, capitano anche delle
'incomprensioni' e una delle due parti peggiora la situazione.
Ma io sono stufo. Sono
davvero stufo. Il vecchio ha fatto traboccare il vaso.
Mi avvicino alla
serranda e lascio il messaggio.
ACHTUNG!!
NEGOZIO
EBREO
Il
Mona se ne va quasi soddisfatto, Derp e Giova lo seguono poco dopo.
Io rimango lì a fissare per qualche minuto la scritta di un verde
luminoso. Rimpiango quasi subito, ogni secondo di più, di non averci
disegnato piuttosto un enorme cazzo.
Di
nuovo, ripenso a tutto il ragionamento di oggi pomeriggio e al fatto
che a volte capitano anche delle 'incomprensioni'. Mi rendo conto
solo adesso che in certi casi sono proprio queste incomprensioni alla
base delle conseguenze spiacevoli. Sia che queste siano delle
zingarate fatte da ragazzi bontemponi, sia che queste siano dei veri
e propri atti di vandalismo o razzismo.
E
come spesso accade, quando ci si accorge di aver fatto una stronzata
è già troppo tardi.
“Cazzo”
mi dico, e me lo ripeto. Mi infilo il cappuccio della felpa e mi
allontano, ormai più turbato di quanto non fossi il pomeriggio.
Mi
ero chiesto cosa avrei fatto al posto di quel vecchio ferramenta, ora
invece mi domando cosa avrebbe fatto lui al posto mio...