venerdì 14 dicembre 2012

Recensione "Lo Hobbit: Un viaggio inaspettato"

Il Signore degli Anelli è stato, senza dubbio, uno degli eventi cinematografici che come pochi altri si è fatto strada fra la cultura popolare e ha conquistato una gigantesca fetta di pubblico, chi amante del fantasy, del cinema o della letteratura, e chi no.
Ed è dal 2004, da quando “Il ritorno del Re” mise la parola fine alle avventure di Frodo Baggins e della Compagnia dell'Anello, che i fan tolkeniani/jacksoniani aspettavano questo adattamento de “Lo Hobbit”. Abbiamo dovuto aspettare otto anni, in cui si sono sempre contrapposti problemi di ogni sorta (questioni legali, l'abbandono alla regia di Guillermo del Toro); ma alla fine nelle sale cinematografiche è arrivata l'avventura di Bilbo Baggins.

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Cosa dire de “Lo Hobbit: Un viaggio inaspettato”?
Senza perdere troppo tempo, il film mi è piaciuto. Nonostante fossi scettico per delle scelte decisamente discutibili (la suddivisione in tre pellicole in primis), ho trovato il film un prodotto confezionato nella maniera giusta, un punto d'incontro fra l'epicità della precedente trilogia cinematografica e la spensieratezza del racconto cartaceo.
Ho voluto leggere il romanzo appositamente per sapere cosa aspettarmi e ho notato, pur contando quelle differenze e licenze narrative inevitabili, un'aderenza al materiale d'origine indiscutibile.
Ma andiamo con ordine e parliamo della trama (senza fare troppi spoiler, ovviamente).
Il film si apre con la bellezza di due prologhi: il primo ci mostra i fasti e la caduta di Erebor, regno dei nani sotto la Montagna Solitaria - mentre nel romanzo viene raccontato a Bilbo dai nani; il secondo invece ci mostra il vecchio Bilbo Baggins, nel giorno della festa del suo centoundicesimo compleanno (vi ricorda nulla?), cominciare ad annotare sul libro rosso il suo viaggio inaspettato di 60 anni prima.
Effettivamente il secondo prologo ha l'unica utilità di strizzare l'occhio perlopiù ai fan della trasposizione cinematografica piuttosto che della saga letteraria, ma tant'è; tutto fa brodo.
E poi inizia un flashback, di appunto 60 anni, che finalmente arriviamo al discorso sul “buongiorno” fra il giovane Bilbo e Gandalf il Grigio. E' in questo momento che lo stregone sceglie lo Hobbit come quattordicesimo membro della compagnia dei nani di Thorin Scudodiquercia, intenzionato a riconquistare la Montagna Solitaria e a sedersi sul trono che gli spetta. Bilbo comincia così, con non poca riluttanza, un viaggio attraverso la sempre splendida Terra di Mezzo, anche questa volta interpretata dalla Nuova Zelanda.


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Un venditore di bottoni.

L'intera vicenda si dipana per la bellezza di due ore e 45 minuti. Una durata del genere, su quelle che nel libro sono a malapena 150 pagine, cosa comporta?
Un adattamento dilatato, che permette agli sceneggiatori di inserire... praticamente tutto. La partenza, l'incontro con i troll Berto, Maso e Guglielmo, l'arrivo a Gran Burrone, e le vicende della compagnia nelle Montagne Nebbiose, per arrivare al finale.
Tutti gli eventi sono quindi riportati nella loro interezza, assieme a una minuziosa cura dei particolari, comprese le canzoni dei nani e i bottoni di Bilbo (chi ha letto il romanzo saprà). Che poi questo comporta anche scene in cui la sensazione di brodo allungato si sente, come l'arrivo dei nani a casa Baggins...
Le rare occasioni in cui si notano dei tagli rispetto al romanzo sono in verità comprensibili, dato che non tutto ciò che viene scritto può essere convertito in maniera assoluta sul grande schermo – ciò che rende a parole potrebbe risultare ridicolo visivamente.
Ho apprezzato molto come hanno modificato la sequenza delle Montagne Nebbiose, più nello specifico il modo in cui Bilbo giunge negli antri più oscuri di esse, fino nella tana di... be', lo sapete. Dirò solo che questa è la sequenza meglio realizzata dell'intero film, oltre che evento cardine degli avvenimenti dell'altra trilogia. Non potevano sbagliarla e sono felice di dire che non l'hanno fatto. E Gollum interpretato da Andy Serkis è una garanzia.

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Tessssssoro.

Ovviamente ci sono state non solo delle modifiche, ma anche delle aggiunte. Nello specifico la bellezza di due sottotrame.
La prima riguarda gli orchi: nel romanzo hanno un ruolo più compresso, qui invece hanno esteso il loro ruolo, da nemici occasionali nel libro a inseguitori dei nani nel film. Anche i Mannari subiscono un ridimensionamento: se nel libro sono un branco indipendente che collaborano spesso con gli orchi, qui appaiono più semplicemente come i loro destrieri.
Inoltre hanno aggiunto la figura del loro comandante, Azog, l'orco pallido, facendolo diventare un'antagonista minore dell'intera vicenda.
L'altra sottotrama, che al contrario della prima viene accennata nel romanzo, è quella del Negromante, uno stregone oscuro che risiede nelle terre del sud. E' questo il punto che lega principalmente le vicende di questa trilogia a quelle della precedente e che permette di avvicinare i toni della storia, scanzonati e fiabeschi nel romanzo, a quelli più epici de “Il Signore degli Anelli”. E ne sono soddisfatto, prima di tutto perché come dicevo questa vicenda nel romanzo viene accennata e nulla di più, viene liquidata con due parole e tanti saluti. In secondo luogo, perché permette l'inserimento di personaggi già conosciuti che non comparivano nel libro. Sto parlando di Lady Galadriel (sempre splendida) e Saruman il Bianco, qui più ambiguo che nei film precedenti ma anche meno coinvolgente; Christopher Lee è invecchiato e si vede, durante il Bianco Consiglio sembra pensare a tutt'altro... forse per effetto di qualche fungo allucinogeno di troppo (questa sarà una delle frasi più ricordate del film, e non in senso buono).

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Saruman prima di essere attratto
dal Lato Oscuro e diventare il Conte Dooku.

Poi c'è Radagast il Bruno, altro stregone che sempre nel romanzo viene appena nominato. Qui ha un ruolo più approfondito, legato alle vicende del Negromante. Interpretato da Sylvester McCoy, ci si accorge fin da subito che il suo carattere “stravagante” è opera di Guillermo del Toro. Il personaggio è un tipo a stretto contatto con la natura, con tanti di nido per gli uccelli nei capelli. La piega comica che gli hanno voluto dare può ricordare a tratti (ahinoi) quell'infausta creazione di Jar Jar Binks. Fortunatamente i momenti di gag vergognose sono ben poche e per il resto Radagast può (può) pure risultare divertente.
Ma stregone bruno o meno, è evidente è che Lo Hobbit tende più alla commedia. Fortunatamente un equilibrio, un punto di incontro con i momenti epici c'è e molte scene comiche, quelle non forzate, fanno ridere.

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Radagast vi osserva. SEMPRE.

Parliamo ora degli attori. Non mi soffermerò su tutti, poiché già la combriccola di nani è numerosa, inoltre molti di essi non hanno ricevuto una caratterizzazione approfondita proprio a causa di un numero esagerato di membri della compagnia. Comprensibile, ma è un peccato (se non fastidioso) che una metà abbondante di essi vengano appena inquadrati. Su di loro dico solo che a volte il trucco è eccessivo: da nasi di gomma a pettinature improbabili. Mi rendo conto che bisognava differenziarli l'uno dall'altro e che tredici ometti tutti con un folto barbone siano antiestetici al cinema, ma poi ti vedi Kili e pensi che quello non è un nano manco per il cazzo.

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 ...

Gli unici che hanno ricevuto qualche attenzione in più sono Dalin e (in minor misura) Fili e Kili, Bofur, Ori e Bwalin. Poi c'è Thorin Scudodiquercia, il leader della compagnia. Il personaggio che praticamente prende il posto di Aragorn all'interno della storia.
Richard Armitrage fa davvero un buon lavoro. Nei panni del burbero, testardo, guerrigliero ma leale Re sotto la montagna è convincente e non sfigura affatto al fianco di Ian McKellen (che manco a dirlo, come Gandalf è sempre perfetto). Ottima prova dunque, spero solo che si riconfermi nelle successive due pellicole e che il pubblico generalista non lo confronti inappropriatamente con Viggo Mortensen, che i loro personaggi sono parecchio diversi.

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Thorin brandisce Orcrist. E non è una bestemmia...

Ma veniamo al piatto forte. Bilbo Baggins interpretato da Martin Freeman.
E' da quando ho visto la serie tv “Sherlock” che seguo con piacere i lavori di Martin, definendolo uno dei più talentuosi attori in circolazione. Peter Jackson era convinto che fosse perfetto tanto che ha smosso mari e fiumi per poter fare in modo che i giorni di ripresa de “Lo Hobbit” non si sovrapponessero con quelli di “Sherlock” (all'epoca stavano girando la seconda stagione). E mai scelta fu più azzeccata, Martin Freeman è un Bilbo Baggins pressoché perfetto. Ogni espressione, ogni movenza – compresa l'abitudine di infilare i pollici sotto le bretelle proprio come nel romanzo, tutto ricorda un vero Hobbit della Contea: abitudinario, nolente nel voler conoscere il mondo al di fuori della propria casa nel terreno. Con quel pizzico di allegria e leggerezza che, in Bilbo, sfocia nella suo desiderio di avventure ormai assopito.
 
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 Bilbo Baggins interpreta Martin Freeman. O forse è il contrario?

Una piccola parentesi sul doppiaggio: alla direzione c'è Francesco Vairano, già direttore della trilogia precedente. Ergo mi aspettavo un gran lavoro, e così è stato.
Traduzioni e adattamento sono buoni, non eccezionali (il difetto di pronuncia di Gollum che in italiano non ha senso, Bosco Atro tradotto anche con Bosco Fronzuto o la pronuncia inglese del nome Thrain mentre per tutti gli altri è rimasta la pronuncia italiana).
Senza perder tempo in nomi e cavoli vari, quasi tutte le voci dei protagonisti principali le ho trovate molto buone, Thorin su tutti. Qualche riserva invece per quella di Bilbo, ma semplicemente perché sono abituato a sentire Freeman in originale e coi sottotitoli, ma non che sia inascoltabile.
Odiosi invece i troll Berto, Maso e Guglielmo, a cui hanno eccessivamente accentuato la loro parlate sgrammatica.
I doppiatori dei vecchi personaggi sono gli stessi, tranne uno: Gianni Musy, il precedente doppiatore di Gandalf, è passato a miglior vita l'estate scorsa.
Quando alla fine è stato annunciato il suo sostituto, mi sono sentito rincuorato: Gigi Proietti. La sua voce calza a pennello ad un Gandalf più giovane e la recitazione di Proietti è ottima. Giusto qualche piccola eccezione, due o tre frasi qua e là nel corso del film dove forse l'intonazione è troppo teatrale, ma due frasi nel corso di un film di 2 ore 45 sono ben poca, pochissima roba. Per quel che mi riguarda, Proietti è promosso a pieni voti! E ne sono sollevato, provate ad immaginatevi come poteva prendere la notizia della morte di Musy il popolo di internet...


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 Un branco di nerd pronti a riesumare la salma di Musy. 

Finora, salvo qualche pecca qua e là, sembra tutto rosa e fiori. E invece no.
Di difetti e pure belli grossi, ce ne sono. In primis mi viene in mente la CGI: brutta, ma davvero brutta.
In “Le due torri” e “Il Ritorno del Re” si raggiungevano picchi altissimi, qui c'è stata una regressione e non di poco. I Mannari li ho trovati fintissimi da far schifo, gli orchi, i goblin e i troll sono poco meglio; e nei momenti migliori i personaggi in CGI sembrano usciti da un videogioco. Anche i tre troll e le aquile, poco meglio.
E tutto ciò dove crea il danno maggiore? Nelle scene d'azione, ovviamente, concitate e roccambolesche come piacciono tanto a Jackson. Nella scena di lotta contro i goblin, questi ultimi sembrano pesare qualche grammo al massimo da come capitombolano giù dal ponte. Altro punto a sfavore delle scene d'azione è l'esagerazione, davvero troppa e frustante. Vogliamo parlare dell'albero sradicato che resiste sull'orlo di un precipizio? O del “nano” Kili fermare ben due frecce con la spada? Oppure della lotta coi tre troll a dir poco insulsa per quanto è bambinesca?
Non capisco poi perché dopo tutti gli orchi, goblin e uruk abbastanza convincenti interpretati da attori reali nella Trilogia, adesso ci sia questa voglia di CGI strabordante. Che almeno fossero interessanti gli antagonisti, il Re dei goblin è praticamente piatto come carattere; aggiungiamoci un bel po' di dialoghi imbarazzanti e la CGI scadente fa il resto. Non si salva nulla? Be', Gollum sì. Ma avevamo dubbi al riguardo?

E infine la colonna sonora. I brani veramente nuovi sono giusto due o tre e il restante si rifà pesantemente alla score de “La Compagnia”. I vecchi brani rimangono sempre vecchi, ma la sensazione che siano solo dei riempitivi è deplorevole...

In definitiva, se dovessi dare un voto sarebbe 8-.
Difetti ce ne sono, forse pure troppi considerando gli standard dell'altra Trilogia.
Ma la sfida di partenza, adattare al grande schermo una favola per bambini (come l'aveva definita lo stesso Tolkien) dopo l'epica trilogia, era dura da portare a compimento. E a me personalmente è piaciuto come hanno strutturato questo primo film.
Certo, la sensazione che due film fossero più che sufficienti rimarrà, ma speriamo che aggiustino il tiro per i prossimi. Ora scusatemi ma vado a fumarmi un po' di erba pipa in attesa de “La Desolazione di Smaug”.


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Un'anteprima esclusiva del secondo film.

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